Fra le pagine di…Patrizia Palese

di Marco Mazzanti

Il  curriculum di Patrizia Palese è ricco di esperienze nel mondo dell’arte e dello spettacolo, contesti prestigiosi e riconoscimenti. Nasce a Roma nel 1954, studi classici, un passato da attrice durante l’adolescenza, un amore potente per il teatro e la scrittura, passioni che non ha mai abbandonato, ma che ha anzi saputo coltivare nell’amore verso la famiglia e il lavoro di guida e ricercatrice storica. VIAGGIeMONDO ha intervistato Patrizia Palese.

Patrizia, ci racconti di Lei…

So che sarebbe opportuno citare un avvenimento, una persona o una data particolare per dare una veste di brillantezza al nascere della mia passione per la scrittura, ma non è successo nulla di particolare: da sempre, ogni volta che scrivevo anche un semplice pensiero, chiunque lo leggesse rimaneva a guardarmi serio, forse preoccupato. Il motivo? In un’età in cui si parla di bambole o al massimo di fidanzatini, io descrivevo la solitudine o la speranza di un mondo diverso… ma in questo gioca molto anche la mia appartenenza a un periodo ben preciso: il ’68. Non ho scoperto io questa passione, ma altri mi hanno confermato che l’avevo. Ovviamente con gli anni ho percorso molte strade, solo apparentemente in contrasto, ma sono riuscita sempre, o spesso, a scrivere quando c’era qualcosa che non mi piaceva, per dimenticare le bugie degli altri e trasformarle in altre realtà… diciamo che quando voglio farmi un regalo scrivo poesie, ma attendo che qualcuno faccia un bel regalo a me scoprendola Patrizia che ha pronta una sceneggiatura cinematografica, o quella di una commedia musicale, o di una sit-com che faccia sorridere chi, magari, non ama molto leggere, ma ha bisogno di credere che può esistere anche un’altra realtà.

Un’altra realtà da far conoscere o riconoscere è stata anche la mia scelta di intraprendere un’attività che per molti appare quasi ornamentale: Ricercatrice Storica. È un termine questo che molti confondono con quello di un individuo chino su libri antichi a decifrare lingue morte; nulla di più inesatto! Il poter dimostrare che siamo solo nani sulle spalle di giganti, come stupendamente aveva metaforizzato March Bloch, grandissimo storico francese, deportato nell’ultimo conflitto, data la sua appartenenza alla razza ebraica, mi ha reso forte nelle mie altre possibilità di scrittura in questo campo, con degli elaborati che sto portando avanti e che vengono resi attivi nella mia attività di Guida storica-artistica, rendendo l’Associazione Culturale OMNIAPOLIS, di cui sono Presidente e Fondatrice fin dal suo nascere nel gennaio del 2007, un elemento originale nel campo della diffusione della cultura in senso lato, utilizzando il mondo virtuale e proponendo percorsi culturali sia di natura letteraria che storico, artistico e religioso.

Nel 2005 pubblica per Gruppo Edicom Edizioni il suo primo romanzo, Come Orfeo.

Da sempre ho scritto, perché non potevo e non volevo fare altro e così sono nate fiabe, poesie, racconti. Poi la vita mi obbligò a usare la scrittura per poter stare meno male: scrissi di getto, all’indomani della morte di mio padre nel 1999 e della fine del mio matrimonio nel 2000, il mio primo romanzo lungo “COME ORFEO”, che venne pubblicato nel 2005, anche se non nacque per essere letto, ma per curarmi da una solitudine profondissima. Dico questo, perché a distanza di anni, non senza qualche dubbio, sto riscrivendolo per dare ai personaggi un loro carattere, come è giusto che sia e non soltanto per rappresentare i miei fantasmi come fecero all’inizio.

Ma Come Orfeo è solo il primo di una lunga serie di progetti che vengono successivamente portati a compimento con intraprendenza, difatti nel 2008 l’opera teatrale Diritto di recesso va in scena a Milano con la compagnia I Rabdomanti.

Si racconta che l’Inizio, qualsiasi inizio, è sempre stato il passo più difficile… forse anche per il Padreterno lo fu. Un bel giorno di qualche anno fa, io, scrittrice di romanzi, poesie, fiabe, novelle, mi scoprii scrittrice per il Teatro con DIRITTO DI RECESSO. Non fu semplice e non fu voluto. Avevo appena concluso la stesura di un romanzo, scritto più per farmi del bene che per farne ad altri; dopo la morte di mio padre volevo credere che ci fosse una spiegazione al dolore, alla malattia, alla sofferenza. La mia vita cominciava a perdere tasselli e io continuavo a pensare che ci dovesse essere una seconda possibilità. Il mio Dio era un padre e non poteva gioire delle nostre pene… così pensavo. Fu allora, quando ero convinta che il mio dolore fosse l’unico a meritare rispetto, che mi trovai di fronte un manifesto parzialmente scollato dalla sua sede: Oliviero Toscani aveva fotografato tre cuori assolutamente identici e sopra di loro tre scritte: Black, White, Yellow. Tre organi umani che, con una grossa violenza, indicavano quanto stupidità ci fosse nel razzismo. Passato il primo momento quell’immagine sembrò svanire, ma, per la serie “nulla è completamente inutile o profondamente importante”, qualche settimana dopo, mentre avevo guadagnato faticosamente un posto a sedere nella metropolitana, sfogliai uno di quei giornali che vengono dati all’ingresso.

Mentre cercavo l’oroscopo il mio sguardo si fermò su un trafiletto di notizie estere “Un uomo bianco in sud-Africa rifiuta un cuore proveniente da un donatore negro”. Rimasi basita e davanti a me riapparve il cartellone pubblicitario. Ero arrabbiata, anzi furiosa: nessuno poteva essere così stupido! Decisi che avrei scritto un articolo, poi decisi per un romanzo e poi ancora per una novella: dovevo stare meno male, dovevo vomitare la mia rabbia da qualche parte. Mio padre era morto, mia madre non era più lei per un tumore al cervello e c’era chi si permetteva di rifiutare la vita per uno stupido motivo di pelle! Per la prima volta nella mia vita di scrittrice usai pochissime descrizioni e costruii quella novella su un continuo rimbalzare di battute: usai tutte le sfumature dell’odio, della stupidità, della fede in un’idea, non importa se giusta o sbagliata e alla fine scoprii che avevo scritto una sceneggiatura teatrale, era nato DIRITTO DI RECESSO. Da allora poche sono state le variazioni, compreso il fatto che nell’opera tutto ruota intorno a un razzismo più sottile, ma sicuramente con radici più profonde: non il colore della pelle, ma l’origine, l’etnia, gli usi e costumi che fanno dell’altro un diverso, IL DIVERSO, quello da temere, da non voler comprendere, su cui riversare il proprio disprezzo. In DIRITTO DI RECESSO si parla di zingari, di Rom, di persone che il 90% della popolazione considera dannosi per la propria quotidianità. Ma il punto era allargare la prospettiva: se è vero che fra di loro ci sono violenti, ladri, truffatori, sfruttatori di bambini, non è possibile che non ci siano anche persone, con delle loro tradizioni che non vogliono abbandonare, ma che abbiano rispetto per le terre che li ospitano. Nessuno è completamente negativo, almeno fino a quando non se ne conoscano le motivazioni. Conoscere l’altro per conoscere un po’ di più noi stessi: questo è il vero cuore dell’opera e, spero, di ognuno di noi.

È fondamentale sottolineare che a dicembre l’opera sarà rappresentata come impegno recitativo e non più come lettura scenica, al Teatro Trastevere dal 12 al 15, per poi proseguire a Crotone, Bologna e in altre città che si sono rese disponibili per sensibilizzare il pubblico su un corretto stile di vita sia sociale che mentale… inutile dire che sono molto fiera di tutto questo e ringrazio chi ha creduto in questo lavoro: Elisabetta Carpineti, Manuel Ferrarini, Andrea Davì, Maria Grazia Adamo, Alessia Abbondanza, Fabiana Galasso e Pietro Frascaro.

 

Del 2011 è la pubblicazione della raccolta di racconti Gli infiniti volti dell’amore, edito per Linee Infinite Edizioni, un libro a quattro mani nato collaborando con Claudio Barbero, collega insieme al quale Patrizia Palese ha saputo affrontare, rinnovandolo, usando uno stile delicato ed efficace, un tema abusato (e deriso) come quello dell’amore nella società di oggi.

Gli infiniti volti dell’amore” sembrerebbe un libro non impegnativo, da assaporare lentamente, ma l’intento, sia mio che del collega, era quello di dare un po’ più di colore all’Amore in tutti i suoi aspetti, alla vita che ci passa accanto, per aprire non solo il cuore, ma anche la mente. Nello scrivere i racconti non ho voluto dimenticare la cura che ho sempre rivolto alle mie creazioni letterarie, perché una novella è un gioiello immediato che non può essere trattato come una cosa da nulla.

Alla fine del 2012, un nuovo testo teatrale, Caterina, donna d’amore, regia di Daniela Danesi, va in scena a Roma con grande successo.

CATERINA, DONNA D’AMORE ha trovato in Daniela Danesi e nella sua attenta direzione artistica, la concretizzazione di un sogno. In questo lavoro, infatti, la richiesta più o meno esplicita dell’Arciconfraternita di Santa Caterina da Siena, che mi aveva commissionato il lavoro, era un’opera sulla figura di Caterina, non sulle orme di quanto si era già scritto su di lei; di conseguenza ho reso la figura della santa senese più umana attraverso i ricordi di sua madre Lapa Piagenti, di sua cognata Lisa e di Raimondo da Capua, primo grande biografo della santa: attraverso una madre, una sua coetanea ela Chiesa nella veste ufficiale del Maestro Generale dell’ordine dei Domenicani, prende vita una donna che della santa ha solo l’origine e il nome. Caterina, che all’epoca dei fatti narrati è già morta da diversi anni, chiarirà lei stessa in monologhi che fermeranno le azioni dei tre sulla scena, la sua versione: una donna innamorata di quel Gesù che per lei rappresenta l’unico uomo che le può dare protezione, in un tempo in cui la nascita delle figlie femmine non veniva nemmeno registrata nei libri parrocchiali e dove si moriva di parto con la stessa facilità con cui ci si svegliava la mattina. Per sfondo una Siena devastata dai mercenari, dalla peste e dalla fame che si intravede dalle parole dei personaggi e che diventa il quinto personaggio sempre presente.

Il lavoro poteva sembrare arduo da svolgere, ma data la mia origine di Ricercatrice Storica, ho solo faticato un po’ di più per dare una sintesi a un momento più che a un altro. L’attenzione poi di Daniela Danesi, da molti anni nel teatro come attrice e regista e che per scelta professionale ha una cura particolare della parola non solo come suono, ma soprattutto come anima del lavoro stesso, ha favorito la giusta interpretazione dei vari personaggi per gli attori: Raffaella Pavone come Lapa, Carlotta Piraino come Lisa, Antonino Anzaldi come Raimondo e per concludere Rita Pasqualoni come Caterina; professionisti che hanno dedicato al loro personaggio tutta la loro attenzione rendendolo vero e di spessore.

Per la validità dell’opera CATERINA, DONNA D’AMORE, ha ottenuto il Patrocinio dell’Arciconfraternita di Santa Caterina da Siena e la collaborazione patrocinante del Programma Internazionale per la fame nel mondo, Ente collegato alla FAO che l’ha nominata Ambasciatore per un progetto umanitario nei confronti dei bambini del centro Africa. Un grazie speciale va al Professore Gaetano Passarelli, che con la sua costante pressione mi convinse a scrivere su Caterina, mettendo in moto tutto questo. Nei dialoghi fra i personaggi si riconosceranno i concetti dei “Dialoghi conla Divina Provvidenza”, dato che fu quest’opera letteraria, insieme alla sua vita, la motivazione del suo titolo di Dottore della Chiesa, voluto per lei dal pontefice Paolo VI e ci tengo a sottolinearlo, proprio per indicare che solo la mia scelta di Ricercatrice Storica mi ha aiutato nella stesura.

 

Il 2013 è l’anno dell’uscita del suo terzo libro, il canzoniere La trama e l’ordito, pregiata raccolta di componimenti attraverso i quali lei parla di sé e di alcune importanti fasi e persone della sua vita.

Il rapporto che ho con la Poesia è un “non rapporto”. Mi spiego meglio: il mio naturale impulso nei confronti della vita, quando per vita si intende un succedersi di fatti, incontri e abbandoni, è quello di toccare, urlare, piangere, abbracciare, insomma un rapporto assolutamente istintuale. Questo non presenta problemi se il tutto avviene in un contesto temporale preciso, ovvero nella prima parte della vita; lo si giustifica come il naturale evolversi della personalità. Da questo punto di vista in me non c’è stata nessuna evoluzione, ma la memoria degli equivoci creati dal mio rapportarmi sì… ecco perché faccio decantare le mie sensazioni attraverso la poesia: essa è il mio salvagente che non mi fa affondare nel mare dell’indifferenza e dell’incomprensione. Ben diverso è il rapporto con la scrittura teatrale e narrativa: esso serve a sottolineare, a volte molto incisivamente, il mio disgusto, la mia partecipazione, il mio orrore, la mia aspettativa, nei confronti dei miei simili e del loro modo di gestire il nostro mondo.

 

Lavora da molti anni come guida e ricercatrice storica, visite nei luoghi più affascinanti e inaspettati di Roma, ma anche tour nelle principali città d’arte italiane ed europee. Quanto influisce, in Patrizia Palese, l’esperienza del viaggio sul Suo processo creativo?

Poter spaziare nel tempo e nei luoghi per chi è abbastanza attento, rappresenta un potenziale narrativo immenso; in pratica se si ha l’accortezza di non imparare a memoria le misure della Colonna Traiana e le date di nascita e morte di Michelangelo, ma di guardare con attenzione lo svolgersi degli eventi intorno a quel monumento o a quel personaggio, quel che rimane è una specie di polvere magica che ti fornisce spunti continui per vivere quei momenti storici che solo apparentemente sembrano così lontani da noi… un esempio per tutti: la stesura della sceneggiatura teatrale di CATERINA, DONNA D’AMORE e di altri miei lavori teatrali con base storica, che spero di veder presto rappresentati. Del resto il grande Eduardo, svelò il segreto della sua fertile creatività di autore teatrale con una semplice metafora: affacciarsi al proprio balcone e veder svolgere la vita degli altri sotto di sé.

Marco Mazzanti