VIAGGIeMONDO intervista Claudio Fiorentini

di Marco Mazzanti

Pittore, poeta e scrittore, Claudio Fiorentini è artista poliedrico che, grazie alla genuinità delle proprie opere, ha saputo farsi riconoscere in quest’epoca di gracili intellettualismi e manierismi.

Il nostro inviato, Marco Mazzanti, lo ha incontrato nel salotto di uno dei più misteriosi e affascinanti luoghi della capitale, il Polmone Pulsante, durante la presentazione del suo nuovo libro, Piricotinali con Ruspetto (e altre storie dementi), edito da David and Matthaus.

Claudio, molti dei suoi dipinti sono stati e sono tuttora esposti in diverse gallerie importanti in Europa. Nei colori duri, nei paesaggi astratti dei suoi dipinti onirici si lacerano spesso ferite che aprono all’osservatore la porta ad altri mondi, cellule o pianeti colpiti da piogge di meteore, finestre che si disgregano, crisalidi, bozzoli, aperture, lacerazioni. Andiamo però adesso alle origini, ovvero a  Lei. Quali sono le radici della Sua ispirazione?

Non saprei parlare di ispirazione, semmai parlerò di un’esigenza che a un certo punto ti spinge a fare. Cosa fare è un altro discorso. Nella mia vita ho percorso molte strade, da oltre quarant’anni mi occupo di poesia, da venti di narrativa, da quindici dipingo… non so cosa mi spinge a fare queste cose, so solo che a un certo punto qualcosa bussa alla porta e devo muovere qualche arto. Per la pittura la questione è molto fisica, perché inizio accarezzando, o anche costruendo la tela, poi la lavoro fino ad avere una base che, una volta asciutta, ricopro di colore. Il processo creativo, però, ha qualcosa di sciamanico: quando lavoro mi annullo, cesso di esistere e sono. Non mi rendo conto del tempo che passa e non sento alcuna emozione. Ecco, questo forse è già una risposta: l’emozione si annulla e si percepiscono il battitto del cuore, il ritmo del respiro, i movimenti del corpo, il materiale che utilizzo e la superficie dove plasmo il mio lavoro come un insieme in cerca di armonia. La ricerca di armonia è già di per sé un percorso artistico, e il processo creativo è come una composizione musicale, dove tutti gli elementi, pur non sapendo dove vanno a finire e come saranno messi insieme, pur non conoscendo le proprie origini, hanno la consapevolezza di essere lì. Questa consapevolezza è la conquista dell’atto creativo.

Pittura e non solo. La fotografia, che agli esordi fu osteggiata dagli artisti d’un tempo, è oggi alleata della tela e dei materiali che su di essa vi si mescolano per dar vita alle opere. Ci parli della Sua fotografia.

Definirmi fotografo è un po’ esagerato, ma ammetto, mi sono occupato con passione di fotografia. Non amo la fotografia elaborata, non sopporto le immagini melense, però quell’attimo, quell’espressione, quel movimento che possono essere fermati solo con la fotografia, sono magici. Mi piacciono le istantanee, le immagini che esprimono un momento specifico. Oggi fotografo molto meno, il digitale non mi appassiona, però qualche immagine ancora riesco a coglierla. Ecco, l’immagine che si riesce a cogliere. Il fotografo, per me, è colui che sa isolare un frammento di un contesto e lo trasforma in opera d’arte, è un decontestualizzatore che non crea nulla, ma coglie, cattura, carpisce. Uno sciacallo, insomma, uno che fa click su qualcosa di non suo per poi dire che è suo. Ma a parte queste considerazioni burlone, il mio breve percorso fotografico è costellato da viaggi. Infatti, per lavoro ho messo piede in molti luoghi, alcuni imprendibili, e poi „click“, un mercato ad Asmara, „click“, due piccioni su un’insegna a Stoccolma, „click“, una pozzanghera sulla Via Appia, „click“ una guardia forestale in Messico… insomma, una meraviglia non mia è diventata mia… con un „click“!

Prosa e poesia. Ha pubblicato numerosi romanzi, altrettante raccolte poetiche. Ad oggi come si vede nel contesto dell’Arte contemporanea. Ha da poco pubblicato una silloge, Credo (Rupe Mutevole) e la succitata antologia di racconti, Piricotinali col Ruspetto (e altre storie dementi). Sta lavorando a dei nuovi progetti?

Ho due romanzi nel cassetto, ma non so quando, e se li riterrò maturi per le stampe. Scrivo sempre poesie, potrei quindi raccoglierle in una silloge a breve, ma anche qui non so se e quando… lo stesso discorso vale per la pittura. Una cosa però vorrei fare: andare oltre. Mi spiego: tutto quello che ho fatto o sto facendo, deve essere superato da quello che ancora non ho fatto. Ecco, questo è il punto: sto lavorando a quello che ancora non ho fatto, per farlo meglio di quello che ho fatto. Riuscirci!

Lei ha viaggiato molto, ha visitato oltre 40 paesi. Quanto ha contato la dimensione del viaggio nel Suo processo creativo?

Molto. Innanzi tutto sono cresciuto in Messico, quindi la mia prima formazione è ben lontana dalla norma, perché avere due culture nella testa non è come averne una. Poi ho vissuto diversi anni in Francia e in Marocco, mia moglie è marocchina, quindi una terza cultura si è aggiunta alla mia formazione. Tutto questo si traduce, credo, in apertura alle differenze e flessibilità mentale, che aiutano a, non dico capire, ma quantomeno intuire le peculiarità del mondo che si esplora. Per lavoro ho viaggiato molto, quasi sempre da solo, dovendo necessariamente incontrare gente del posto. Girare il mondo in compagnia dei propri connazionali equivarrebbe a fare un safari fotografico in cui non si vede nulla ma si vanta di sapere tutto. Non fa per me, non sono né mai sarò un turista, io ho viaggiato da solo e per lavoro.

Ho visto luoghi agghiaccianti e cose stupende, ho conosciuto persone meravigliose, ho anche rischiato qualche volta. Un esempio di ciò che mi porto dietro? Il sorriso del mercante di pomodori in Eritrea, i consigli della maga al mercato in Messico, la preghiera serale dell’autista allegro in Mauritania, la serenità della parrocchia di un amico prete nel quartiere più pericoloso di Bogotà, il silenzio del tassista appassionato di opera lirica a Madrid, lo sguardo del vecchio che aveva lottato per l’indipendenza in Marocco, l’abbraccio dell’ex tossico che mi ha raccontato la sua vita a Roma, la boria dell’imprenditore di Bamako che aveva quattro telefoni di cui uno con i brillantini, i versi del tassista poeta finlandese… Questo, e molto altro, mi è rimasto dentro… e mi parla.

 

Marco Mazzanti