Viaggio nel mondo del nuoto sincronizzato

di Sara Sgarzi

Danza, acqua, musica, arte, interpretazione, sintonia, lavoro di squadra, fiducia, grinta, spettacolo, complicità, armonia: tutto questo è il nuoto sincronizzato. Sono figure che si formano e cambiano, emozioni che si trasmettono, vite che si esprimono.

Entri in una piscina che è anche un palcoscenico, con quelle che sono diventate le tue compagne di vita, e sulla nostra musica eseguiamo il nostro esercizio: è un momento che ci appartiene, il momento di dimostrare chi siamo e quanto valiamo. I nostri cuori battono forte all’unisono e figure difficilissime, provate così tante volte da diventare del tutto naturali, prendono forma: da fuori è magia, da dentro è concentrazione, emozione, corpi umani che si muovono, fatica.

Sì, perché la fatica che si fa in quei 3 o 4 minuti che dura un esercizio di nuoto sincronizzato è davvero inimmaginabile. Rimani senza fiato, con le gambe che non reggono, un dolore diffuso a tutti i muscoli del corpo, il cuore che batte all’impazzata, l’aria che non entra in quantità sufficiente, le tempie che pulsano e la sensazione di essere sul punto di svenire.

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Non puoi fermarti però, anzi, non solo devi andare avanti, ma devi anche farlo bene, mascherando tutta quella fatica: devi ignorarla, accettarla, fare finta che non esista, convincerti che ce la farai, che il tuo corpo è più forte di quanto la tua mente non pensi. E, infatti, ti alleni nove ore al giorno per trovare la bellezza, eseguirla al meglio, avvicinarti sempre più alla perfezione ma anche per imparare a vincere la fatica. Ti alleni tutti i giorni per mesi e poi ti giochi tutto in 3-4 minuti: anche questo è il nuoto sincronizzato.

 

Sara Sgarzi si racconta

Ho iniziato a nuotare a 5 anni e a 17 sono entrata in nazionale. A 30 ho ottenuto, insieme e grazie alle mie compagne, il quinto posto alle Olimpiadi di Rio 2016, il miglior risultato della nazionale italiana di nuoto sincronizzato di sempre. La mia squadra rimarrà sempre nel mio cuore e so che sarà lo stesso anche per le altre: la nostra unione, ciò che abbiamo condiviso e ciò che abbiamo conquistato insieme ci riempiranno sempre di gratitudine le une verso le altre e per me non smetterà mai di essere motivo di orgoglio l’aver potuto parlare a nome di tutte.

Dopo Rio 2016, però, questo non è stato più possibile: alla fine della gara della nostra vita è giunto, infatti, il momento per ognuna di noi di seguire la propria strada. La mia mi ha portato a lasciare la vita da atleta: mi sono guardata alle spalle, mi sono sentita più che soddisfatta della mia carriera agonistica e, allora, non ho più potuto ignorare quel richiamo del mondo esterno che ho sempre sentito con forza. È stata una decisione presa con la massima serenità e curiosità di vedere cosa mi avrebbe aspettato al di fuori della piscina: semplicemente mi sono voltata. Poi, però, non è stato facile: mi sono ritrovata con tutto quell’immenso mondo che avevo sempre voluto addosso, tutto insieme, così tanto da non sapere nemmeno come prenderlo, da dove cominciare, quale delle infinite possibilità che mi metteva davanti scegliere.

Non hai più nessuno che ti guida, inizi a chiederti chi sei e cosa vuoi davvero, hai una fame insaziabile di novità, vuoi provare tutto ciò che pensi di esserti persa fino a quel momento, ti senti più viva che mai, ma, allo stesso tempo, ti sfuggono tutti i perché: ti trovi sotto una pioggia di sensazioni senza una motivazione percepibile, ti senti spaesata, nel bel mezzo del disordine più totale, non capisci dove stai andando e a quale scopo, tutta quella libertà, a cui non sei abituata, ti disorienta. Poi, però, passato un po’ di tempo, la preoccupazione e la confusione iniziali iniziano a diradarsi e ti rendi conto che di essere un’atleta non si può mai smettere davvero, che tutti i sacrifici, le lotte, i momenti di sconforto, le vittorie, le soddisfazioni della tua carriera sportiva le porterai sempre con te, faranno parte della tua identità per sempre, perché ti hanno reso la persona che sei e ti hanno dato quel qualcosa in più di cui nessuno potrà mai privarti.

Sei sempre tu, la stessa che tutte le mattine entrava in piscina per uscirne la sera, la stessa che studiava la notte perché non aveva altri momenti per farlo, la stessa che sognava ad occhi aperti ma poi si impegnava anche per renderli reali quei sogni, la stessa che non ha mai mollato, forgiata da tutte le esperienze che ha vissuto. È proprio e solo allora che capisci che hai la forza, le capacità, la prontezza di spirito e tutto ciò che serve, se non anche di più, per affrontare tutto quel mondo che ti trovi addosso, per metterlo in ordine, per imprimergli una forma e per crearti al suo interno le tue strade, vedendone e trovandone anche dove altri non saprebbero farlo. E così ho portato a termine il mio percorso di studi conseguendo la Laurea Magistrale in Italianistica e Scienze Linguistiche all’Università di Bologna e ho iniziato a lavorare a Roma, nel Circolo Sportivo della Polizia di Stato di Tor di Quinto.

Ho scoperto un mondo molto più vario di quello a cui ero abituata e pieno di stimoli nuovi: adesso ho i miei corsi al Circolo, ho il tempo di provare tutti gli sport che voglio, di leggere, di viaggiare, di approfondire ciò che mi interessa, di portare avanti il mio sogno di scrivere e di fare ciò che mi piace. All’interno del mondo del nuoto sincronizzato, poi, ho cambiato completamente prospettiva: sono rimasta in acqua solo per divertirmi e fare qualche esibizione, per il resto mi sono spostata sul bordo vasca dove faccio consulenze, camp e soprattutto finalmente mi godo lo spettacolo.

Sara Sgarzi