La pop art di Jim Dine con #iorestoacasa

testo e foto di Gianfranco Cella

Più di qualcuno, anche in tempi non troppo lontani, lo aveva definito il gigante della pop art, ma Jim Dine è mai stato veramente un artista di questo movimento artistico? Nel 2017 a Roma, in occasione di una mostra personale a lui dedicata che aveva avuto luogo a Palazzo Carpegna, Dine ebbe modo di ribadire che ha sempre avuto un rapporto con le immagini molto più complesso di quello che potrebbe invece avere un pop artist. Quello che è certo, comunque è che per quanto riguarda l’arte contemporanea Jim Dine è uno dei maggiori protagonisti.

 

A causa dell’emergenza sanitaria Covid-19, attualmente non è possibile visitare la mostra di Jim Dine al Palaexpo.  Tuttavia grazie all’iniziativa #iorestoacasa, è possibile intraprendere un viaggio virtuale attraverso più di 80 opere dell’artista che coprono il periodo dal 1959 al 2018.

 

Il criterio di esposizione nelle varie sale è di massima cronologico. Nella prima sala quindi, sono presenti alcuni dei suoi primi lavori del 1959 in cui ha dipinto su tela ed acquarelli una testa che è isolata dal corpo: in realtà, nella maggior parte dei casi, si tratta di suoi autoritratti; esercizi che lasciarono una traccia nel suo percorso artistico. Tanto è vero che nel 2016 riappariranno in due opere che riprenderanno lo stesso tema, anche se ingigantito.

Nella stessa sala su una serie di monitor Jim ci racconta i ricordi di un periodo della sua stagione artistica in cui si dilettò ad esprimersi con performances o happening. La sala seguente raccoglie alcuni quadri realizzati tra il 1960 ed il 1963 che ritraggono capi di abbigliamento o utensili con o senza i loro nomi scritti.

 

 

Nella sala 3 sono esposte le opere dove vengono affrontati i temi della tavolozza del pittore e degli strumenti di lavoro; per entrambi queste due sale i contenuti espressivi fondamentali o il modello a cui si ispirano sono diventati iconici per quanto riguarda l’arte di Dine. La sala 4 si concentra in buona parte sulla scultura cui Dine si dedicò nel biennio 1965-66: sculture in alluminio ed il suo autoritratto in una serie di abbinamenti agli indumenti ma svuotati della figura, mentre sulle pareti mostrano la ricerca alla quale Dine si impegnò nella seconda parte degli anni sessanta compresi i periodi, molto fecondi dal punto di vista artistico, che trascorse a Londra.

Andando avanti alla sala 5 compaiono i noti Cuori e siamo nel periodo 1970-1971, a parte il Cuore di Paglia e la Mano Verde, entrambi precedenti. Al rapporto di Dine con le culture antiche (un’opera esposta è la Venere nera, 2001) è dedicata la sesta sala anche se qui sono presenti anche alcuni suoi autoritratti recenti. Mentre la sala 7, abbandona il percorso cronologico della mostra, per raccogliere opere di epoche diverse ed alcune sue ricerche sulle diverse tecniche di stampa.

 

Il colpo di scena è infine rappresentato dalla serie di Pinocchi: il personaggio che ha esercitato su di lui un fascino ininterrotto dopo la visione del film di Walt Disney quando aveva solo 6 anni  e successivamente completata con la lettura del libro di Carlo Collodi. Cosa è venuto fuori allora? Che si tratta di un’artista difficilmente classificabile combinato con il fatto che gli piace troppo essere indipendente. La sua cifra stilistica, insomma, si muove a suo agio solo in presenza di una completa autonomia e libertà di poter sempre raffrontarsi con tutti.

Gianfranco Cella