Lazio, Certosa di Trisulti: il silenzio e il sapere nell’ Alta Ciociaria

testo e foto di Tania Turnaturi

L’Alta Ciociaria svela presenze affascinanti, distanti dalle destinazioni patinate, seguendo percorsi misteriosi che suscitano emozioni sottili. Questo territorio della provincia di Frosinone si struttura come destinazione turistica tramite una promozione integrata e sistematica e la collaborazione degli operatori della filiera turistica, con l’Associazione DMO Alta Ciociaria (Destination Management Organization) che sviluppa l’omonimo Progetto finanziato dalla Regione Lazio nell’ambito di un bando del 2021, costituita da quaranta associati privati e pubblici tra i quali i comuni di Acuto, Alatri, Anagni, Ceccano, Ferentino, Filettino, Fiuggi, Fumone, Paliano, Piglio, Serrone, Trivigliano e Veroli.

 

Numerose e variegate le esperienze realizzabili nel territorio: culturale e artistica con la visita ad abbazie e mura ciclopiche, naturalistica e sportiva con percorsi di trekking, ciclismo e golf, di benessere e relax con le terme e le acque di Fiuggi ed enogastronomica con prodotti e piatti tipici e i vini del Cesanese.

 

 

In questa terra di papi e santi, luogo mistico ed esoterico era la Certosa di Trisulti, dove si sublimava l’anima e si curava il corpo. Dal latino “tres saltibus” (tre salti), il toponimo Trisulti indicava il castello Colonna che dominava i tre valichi verso l’Abruzzo, Roma e la fascia meridionale del Regno Pontificio. Qui, sotto il monte Rotonaria nella catena degli Ernici, in un luogo di eremitaggi, il benedettino San Domenico di Sora intorno all’anno Mille fondava il monastero di San Bartolomeo. La natura integra e selvaggia della Selva d’Ecio, penetrata dal canto argentino del ruscello e dal cinguettio degli uccelli, invitava i monaci a raccogliere le erbe medicinali del sottobosco. Nel 1204 Papa Innocenzo III dona il territorio intorno al monastero ai certosini che vi erigono un cenobio articolato tra viali e giardini in una zona meno impervia, dedicando la chiesa a San Bartolomeo.

 

Oltrepassato il portone d’ingresso della certosa si è sopraffatti dal misticismo, eco lontana del silenzio dei monaci del chiostro che vivevano in solitudine staccati dalla comunità monastica, con cui condividevano solo la passeggiata settimanale e il pasto domenicale, senza scambio di comunicazioni. “Ora et labora” imponeva la regola, e tutti i monaci dovevano servire la comunità svolgendo semplici servizi per coltivare l’umiltà. Nel chiostro dei morti è conservata la tavola con gli sportellini dove l’abate lasciava i messaggi con i compiti assegnati, senza comunicazioni verbali. Nella certosa si produceva e coltivava tutto ciò che serviva al sostentamento dei monaci coi prodotti di orto, peschiera, porcilaia, pollaio, vaccheria, mentre la dieta quaresimale era esclusivamente liquida con latte e birra.

 

Scendendo la cordonata, ecco a destra la peschiera e a sinistra il giardino all’italiana con siepi di bosso sagomati secondo l’arte topiaria (un po’ trascurata!), un tempo orto botanico dei certosini, da cui si accede all’antica farmacia, in un viaggio a ritroso nel tempo. Dal corridoio affrescato con figure caricaturali di popolani che sottendono simbologie alchemiche cui alludono iscrizioni e motti, a destra si apre il salottino d’attesa nel quale si è accolti dal responsabile della farmacia (intorno al 1857) fra’ Benedetto Ricciardi che si affaccia da una porta, suggestivo trompe-l’oeil realizzato dal pittore Filippo Balbi, all’epoca “donato” presso la certosa.

 

Sull’altro lato si apre lo scrigno delle meraviglie dell’antica farmacia con gli arredi settecenteschi di Giuseppe Kofler, espressione dell’attività prevalente nella certosa, dove il farmacista riceveva il postulante informandosi sui sintomi che accusava ed effettuava un’ispezione corporale per dedurre un’anamnesi. Poi preparava il rimedio naturale con le essenze conservate in vasi di ceramica e scatole di faggio contrassegnate da etichette disegnate dal Balbi, e anche dosi infinitesimale di veleni custoditi separatamente (digitale, veleno di vipera). Il medicamento (gocce, compresse, sciroppo, unguento, estrazione alcolica) con relativa posologia veniva consegnato senza corrispettivo in denaro, semmai un’offerta spontanea, anche in natura. Alle donne non era consentito accedere all’abbazia, e dovevano inviare un messaggero a riferire i loro mali.

 

Splendidamente decorate in stile pompeiano le volte a crociera della sala, ispirate alle grottesche di Ercolano, in cui sono presenti alcuni animali utilizzati nelle ricette, come le ghiandole di ermellino o il corno di rinoceronte.mLa secolare tradizione erboristica si conclude nel 1947 quando i cistercensi di Casamari, subentrati ai certosini ridotti a poche unità, musealizzano la farmacia.

 

 

Nella corte con al centro la fontana settecentesca si fronteggiano la chiesa e il cosiddetto palazzo di Innocenzo III, che amava soggiornarvi per sottrarsi al caldo di Anagni, oggi Biblioteca Nazionale della certosa ricca di oltre 36.000 volumi. Vi sono conservate anche le ricette prodotte nel corso del tempo che, analizzate con i criteri della moderna farmacologia, risultano tuttora valide, soprattutto nelle malattie femminili. Vi si svolgono corsi specialistici di erboristeria e botanica e corsi per neofiti di riconoscimento delle piante officinali ed erbe spontanee commestibili dei Monti Ernici.

 

La chiesa abbaziale di San Bartolomeo ha subito rimaneggiamenti. L’iconostasi divide la navata in due parti, quella presbiteriale con coro ligneo cinquecentesco per i padri e l’altra per i conversi con coro del 1688. Alle pareti grandi tele del Balbi con la gloria di santi e il massacro dei monaci certosini a Londra, realizzata nel 1863. Pregevoli leggii girevoli traforati fronteggiano gli stalli, prezioso il tabernacolo decorato con pietre dure. Negli ambienti laterali nove altari con paliotto a scagliola consentivano a tutti i monaci di celebrare la messa quotidiana.

 

Sul grande chiostro del monastero si affacciano le celle dei monaci e il refettorio, il chiostro piccolo ospita il cimitero. Monumento Nazionale dal 1890, la certosa è gestita da LazioCrea SpA per concessione della Regione Lazio. Aperta tutti i giorni con ingresso libero, possibilità di visite guidate con prenotazione obbligatoria.

 

Tania Turnaturi