Il borgo, il castello, i fantasmi: i luoghi di Celestino V

di Antonella Pino d’Astore

Fumone è in alto, tanto in alto sopra la valle che fu per secoli avamposto inespugnabile del Papato e dello Stato della Chiesa contro i Saraceni e i Normanni. Siamo a ben 783 metri di altezza, immersi in un’aria leggera e frizzante con ai piedi i colli Albani e la valle del Sacco.

Comune di 14,76 Kmq è situato nella parte settentrionale della Ciociaria in Provincia di Frosinone da cui dista circa 20 Km, posto a 783 s.l.m., su un colle conico dalla cui sommità si apprezza un panorama ed un colpo d’occhio eccezionale per ampiezza e veduta. Fumone ebbe sempre grande valenza difensiva per la sua posizione alta e perché posto ai confini dello stato Vaticano: “Se Fumone brucia, tutta la campagna trema!”.

E proprio i Papi lo resero famoso nel bene e nel male visto che il superbo castello, che apparteneva agli avi di Bonifacio VIII, fu utilizzato come prigione d’èlite. Il prigioniero più celebre fu Celestino V, il papa del “gran rifiuto” di Dante, imprigionato fino alla morte nella rocca di Fumone dal suo nemico Bonifacio VIII. Tuttavia, per volere di Dante, i due papi condivisero la stessa collocazione nel girone dell’inferno dantesco.

Il castello perse la sua aria tenebrosa nel 1600 quando i marchesi Longhi lo rimaneggiarono magnificamente aggiungendo il giardino pensile. Ma la leggenda ha voluto restituire un’aria di mistero al castello: qui dimora il fantasma della marchesa Emilia Caetani, disperata per la morte drammatica dell’unico figlio maschio, avvelenato con l’arsenico dalle sorelle maggiori, preoccupate per la perdita dell’eredità.

Ma non è l’unico fantasma: non hanno pace neanche le anime delle povere fanciulle, uccise, pare, dal marchese che nell’esercitare il diritto “ius prime nocte”, giudicandole non più vergini, le scaraventava giù dal pozzo del castello. Oggi la rocca è privata ma visitabile. La pietra viva delle alte torri merlate ritorna in tutto il borgo antico, tra vicoli stretti, passaggi a volta e antiche case dai tetti rossi. Chissà se tra antichi drappeggi e ricco mobilio è ancora possibile udire flebili lamenti…

 

Antonella Pino d’Astore