Saharawi: un popolo in esilio

di Valeria Sellini

Il territorio del Saharawi fu una colonia spagnola fino al 1975. L’avvenuta libertà coincise però con l’occupazione del Marocco che spinse la popolazione a rifugiarsi in una striscia di deserto a sud dell’Algeria. Questa terra è infatti ricca di risorse minerarie, sebbene sia prevalentemente desertica, e le sue coste sono pescosissime. Due ottimi motivi per “dominare” l’economia di questa parte dell’Africa.

I Sharawi, letteralmente “popolo del deserto”, in origine erano un popolo nomade. Oggigiorno sono diventati un popolo sedentario e pacifico, stanziatosi nel deserto, costruendo piccole case e tende, costituendo un vero e proprio Stato che esiste da oltre 40 anni. Sono riconosciuti da ben ottantuno Paesi, ma non dall’UE e dall’ONU. Questa situazione rende difficile una risoluzione a loro favore e le sopraffazioni da parte dell’esercito marocchino non si fermano. Solo con l’aiuto di associazioni umanitarie, facenti capo a quegli Stati che ne riconoscono l’autonomia, è possibile vivere decentemente in uno dei posti più inospitali della terra.

L’accoglienza dei “piccoli ambasciatori di pace” ossia i bambini del Saharawi, è oramai diffusa in parecchie Regioni italiane e non, dove soggiornano in piccoli gruppi accompagnati da educatori saharawi. L’Italia e la Spagna li accolgono per dar loro cure mediche ed assistenza: le maggiori problematiche sono legate alla disidratazione, ad un sistema immunitario deficitario e, alcune volte, alla malnutrizione.

L’accoglienza è utile e necessaria anche per fa si che i bambini vengano allontanati dai campi profughi nei mesi più caldi, in quanto le temperature superano i 50°. Inoltre, le accoglienze mirano a sensibilizzare la popolazione sulla causa saharawi che è in lotta pacifica per rivendicare il diritto internazionale della loro propria libertà.

Nei campi profughi sono presenti scuole e ospedali; i bambini imparano l’arabo e lo spagnolo; c’è personale medico per un primo soccorso, ma tutto è ridotto al minimo. C’è mancanza di materiale scolastico, di medicinali base come antibiotici, antipiretici, integratori di vitamine. C’è penuria di giocattoli, ma anche se non posseggono nulla di prezioso, tutti i bambini sorridono felicemente con qualsiasi “gingillo” come ad esempio barattoli e tappi di plastica, che per noi occidentali non sono altro che rifiuti e scarti.

L’accoglienza non mira ad allontanare i bambini dalla loro dura realtà, ma bensì a curarli, nel corpo e nello spirito, alleviando i loro dolori e paure ed incertezze, prima di far ritorno alle loro famiglie dove sono amati e circondati dall’affetto dei loro cari.

Valeria Sellini