Roma, Palazzo delle Esposizioni: “Mostre in mostra” fino al 28 luglio

testo e foto di Adele Materazzo

Al Palazzo delle Esposizioni è stata allestita la prima edizione di “Mostre in mostra. Roma contemporanea dagli anni Cinquanta ai Duemila”, una mostra concettualmente innovativa, che ripropone mostre già allestite in altrettante gallerie o altri spazi di Roma durante la seconda metà del Novecento. Durerà fino al 28 luglio e, attraverso una ricostruzione filologica estremamente curata, offrirà al pubblico di immergersi realmente in quelle esperienze espositive.

Si tratta di sei mostre di altrettanti artisti rappresentativi di istanze creative diverse: Titina Maselli, Giulio Paolini, Luciano Fabro, Carlo Maria Mariani, Jan Vercruysse e Myriam Laplante. Oltre sessanta opere sono disposte nelle sale intorno alla rotonda centrale del Palazzo delle Esposizioni, che si configura come una piazza ideale sulla quale passeggiare, uno spazio di comunicazione fra le sale che nella organizzazione originaria erano gallerie, botteghe, appartamenti, insomma i luoghi in cui le mostre erano state allestite. Si entra in un vero e proprio percorso di storia dell’arte contemporanea nella città di Roma durante la seconda metà del secolo scorso e lo si fa affidandosi alle opere materiali, in alternativa a ciò che si fa normalmente oggi, nell’era del virtuale e della fruizione a distanza.

Perché un’operazione di questo tipo? Lo spiega il presidente dell’Azienda speciale Palaexpo, Cesare Pietroiusti quando dice che la proposta della curatrice della mostra, Daniela Lancioni, va nella direzione non solo della ricostruzione ma soprattutto di un’analisi del percorso storico, ottenuta dando valore al rapporto con il luogo e permettendo alle opere stesse di uscire dai libri e dai cataloghi per consentire un approccio fisico, materiale, reale con il pubblico.

Ogni mostra è presentata attraverso ampie descrizioni apposte alle pareti delle sale (anche questo in contrapposizione alla tendenza attuale che vuole testi brevi) con l’obiettivo di facilitarne la lettura, soprattutto per i più giovani, e documentare in maniera filologica tutti i passaggi della raccolta di dati e notizie, documenti e materiali che hanno permesso la ricostruzione di queste mostre, comprese le inevitabili mancanze e le differenze rispetto alle mostre originali. A collegare le sei mostre ci sono gli scatti fotografici documentaristici del fotografo Sergio Pucci che durante la seconda metà del Novecento ha avuto un ruolo centrale nella documentazione dell’arte a Roma.

La prima è dedicata a Titina Maselli (1955- Galleria La Tartaruga). L’artista ha una sua particolare visione di New York, che rappresenta sempre in notturna e cogliendo l’aspetto quasi geometrico della città e dei palazzi che si innalzano verso l’alto, cosa che doveva essere sicuramente in contrasto che il paesaggio urbano della Roma dell’epoca. La seconda è il riallestimento, curato dall’artista stesso, della prima mostra personale di Giulio Paolini (1964- Galleria La Salita). La terza sala ospita tre opere già esposte alla settima biennale di Parigi e poi nella associazione Incontri Internazionali d’arte (1971) dell’artista Luciano Fabro: Concetto spaziale d’après Watteau (1967-71), Corona di piombo (1968-71), L’Italia d’oro e Alluminio e seta naturale (1971), nell’ambito della rassegna “Informazioni sulla presenza Italiana” a cura di Achille Bonito Oliva, Incontri Internazionali d’Arte 1971. È arte concettuale che, contrariamente alle tendenze dell’epoca, rivendica la libertà di avvalersi anche dell’uso anche di tecniche classiche, liberando una straordinaria potenza espressiva.

Nella quarta sala sono esposte opere di Carlo Maria Mariani, (1981-Galleria Gian Enzo Sperone, oggi nella Galleria Nazionale di Roma). La costellazione del Leone, in particolare, è un grande quadro in cui Mariani esprime un nuovo modo di intendere la pittura e la storia, ritraendo nel quadro gli artisti, i critici e i galleristi della scena romana dell’epoca, in un dipinto che ha l’architettura interna che ricalca La scuola di Atene di Raffaello. Nella quinta sala sono esposti i Tombeaux di Jan Vercruysse (1990 – Galleria Pieroni) simulacri di memorie segrete. Nella sesta sala conclude il percorso la mostra di Myriam Laplante Elisyr (2004 – Fondazione Volume! e The Gallery Apart). L’immaginazione dell’artista produce un laboratorio con provette e alambicchi e scaffali pieni di bambole-cavie sotto vetro, rappresentazione paradossale del “delirio di onnipotenza” di uno scienziato pazzo.

Dalle dichiarazioni del Presidente della dell’Azienda speciale Palaexpo, Cesare Pietroiusti, si comprende come questa scelta espositiva si interroghi e scommetta sull’idea che oggi le mostre possano essere intese non più soltanto come contenitori o contesti in cui far vedere la produzione artistica, ma come opere a sé stanti, leggibili in una prospettiva interdisciplinare. Non sono più da considerare solo uno strumento di indagine su tendenze, forme, concetti e pratiche culturali, ma vanno viste in relazione al periodo storico e alla società.

La nostra priorità è stata quella di presentare le opere per la loro qualità e la capacità di porre domande in questo momento storico” dice la curatrice Daniela Lancioni, sottolineando che le mostre sono il momento in cui l’arte viene condivisa e diventa un bene collettivo. Questo approccio ha anche l’obiettivo di storicizzare l’arte contemporanea, di precisare cronologie, selezionare gli eventi artistici ritenuti degni di essere ricordati e attualizzati alla luce delle tendenze attuali e anche di precisare i canoni. Naturalmente solo se (come questa mostra fa puntualmente) sono ricostruite affidandosi a documenti, testimonianze, repertori fotografici, memorie, tutti strumenti della filologia.

Adele Materazzo